L’analisi condotta dal Sesto Rapporto sulla Regionalizzazione del bilancio previdenziale dimostra la presenza di una correlazione diretta tra saldi regionalizzati e tipologia delle prestazioni in erogazione: nelle regioni del Sud, sui cui pesa circa la metà del deficit complessivo, prevalgono le prestazioni di natura assistenziale

Mara Guarino

Cosa emerge dalla regionalizzazione del bilancio previdenziale italiano? Secondo il Sesto Rapporto a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, la principale risposta è un’evidente situazione di squilibrio tra le tre principali macro-aree del Paese (Nord, Centro e Sud) in riferimento sia all’ultimo anno preso in esame, il 2015, sia all’intero periodo analizzato, vale a dire i 36 anni compresi tra il 1980 e il 2015.  Una costatazione che obbliga, a propria volta, a interrogarsi allora sulle possibili cause di questa situazione: se il ruolo dell’evasione fiscale e contributiva è indubbiamente non di poco conto, come appurato dalla stessa pubblicazione, oggetto di approfondimento del Rapporto è anche la possibilità di una correlazione diretta tra i saldi regionalizzati e tipologia delle prestazioni erogate.

«In effetti – spiega Michaela Camilleri, componente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali – l’analisi dimostra che la correlazione diretta tra saldi negativi e positivi e tipologia delle prestazioni in erogazione esiste. Dove prevalgono saldi positivi e tassi di copertura intorno al 70%, la maggior parte delle prestazioni sono di tipo “previdenziale” e dunque supportate da contributi realmente versati; viceversa, dove i tassi di copertura e i saldi sono fortemente negativi, prevalgono prestazioni di tipo “assistenziale”»

In particolare, come evidenziano i dati, le pensioni di anzianità –  che, peraltro, sono in genere le più elevate, avendo alle spalle una media di circa 37 anni di contribuzione (contro i circa 22 di quelle di vecchiaia) – prevalgono nelle regioni del Nord, mentre invece sono meno frequenti al Sud, dove le carriere lavorative tendono maggiormente alla discontinuità, oltre che a essere caratterizzate da retribuzioni in genere più basseIl gap tra Nord e Sud si riduce invece di circa 10 punti percentuali per quel che riguarda le pensioni di vecchiaia che, nelle regioni del Mezzogiorno, sono però integrate al minimo nel 79% dei casi(contro il 52% del Nord e il 57% del Centro). «Va in ogni caso rimarcato che, al Sud, dove risiede il 34,36% della popolazione italiana  – precisa Camilleri – tanto le pensioni di vecchiaia quanto quelle di anzianità presentano distribuzioni percentuali inferiori a quella della popolazione, mentre prevalgono le pensioni di invalidità (45,68% del totale) e le assistenziali (45,57%) con un tasso, in rapporto alla popolazione residente, quasi doppio rispetto al Nord». Caso limite è ad esempio quello della Calabria, dove su 100 prestazioni erogate nel 2015 solo 36,5 sono pensioni di vecchiaia e anzianità: 17,6 sono ai superstiti, 9,4 di invalidità e addirittura 36,5 assistenziali.

Le analisi condotte dal Sesto Rapporto accendono allora inevitabilmente i riflettori proprio sul tema del peso delle prestazioni assistenziali che, come spiega Camilleri, affiancato ad altri fattori sia economici sia demografici, è senza ombra di dubbio determinante nella produzione dei disavanzi.  Basti guardare a titolo esemplificativo alla distribuzione regionale delle pensioni e degli assegni sociali erogati agli ultra 65enni sprovvisti di reddito: in generale in tutto il Sud e, in particolare, in Campania, Puglia e Sicilia, si osservano numeri decisamente elevati in rapporto alla popolazione, con una media di una prestazione ogni 44,2 abitanti (contro quella di una prestazione ogni 129 abitanti fatta registrare dalle regioni settentrionali).

Pensioni e assegni sociali al gennaio 2016

Analoghe considerazioni si possono poi estendere alle prestazioni di invalidità civile, dove spiccano soprattutto i numeri limite delle “indennità di accompagnamento”: al Sud è infatti in pagamento una prestazione ogni 23 abitanti, dunque in media una ogni 7 famiglie; al Centro, il valore utile al confronto è invece di una ogni 27,5 abitanti, mentre al Nord di una ogni 37 abitanti.

Prestazioni agli invalidi civili al gennaio 2016

Da non sottovalutare, infine il dato riguardante le pensioni integrate al minimo, unica prestazione tra quelle finora analizzate, la cui distribuzione territoriale sembrerebbe omogenea sull’intero territorio italiano. D’altro canto, come ricorda però il Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali, non bisogna neppure dimenticare che i lavoratori iscritti alla previdenza Inps sono ben più numerosi al Nord che nelle altre aree del nostro Paese.

Pensioni integrate al trattamento minimo al gennaio 2016

«L’assunto iniziale di una correlazione diretta tra saldi negativi e prevalenza di prestazioni assistenziali trova di fatto conferma in tutti i parametri presi in considerazione per la stesura del Sesto Rapporto», riassume quindi Michaela Camilleri. Non senza guardare in conclusione alla sostenibilità del welfare italiano: «Spesso quando si parla di spesa sociale si tende a confondere la spesa pensionistica propriamente detta con la spesa per l’assistenza, che è quella che di fatto pesa oggi maggiormente su bilancio previdenziale italiano, anche perché più difficile da controllare anche da parte della politica. Numeri alla mano serve però una revisione del sistema, partendo ad esempio dall’istituzione di un Casellario dell’assistenza». Ancor di più se, come auspicabile, si vorrà sul futuro puntare non sull’assistenzialismo ma, soprattutto, su politiche di sviluppo, certamente più efficaci nell’aumentare la competitività del Paese.

Mara Guarino

 

 

Intervento a cura del Presidente Praesidium, Salvatore Carbonaro

Articolo Tratto da “Il Punto – Pensioni&Lavoro