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Visite, accertamenti diagnostici, medicinali: in teoria sono inclusi nei Livelli essenziali di assistenza, in pratica spesso non sono fruibili.

Per questo Praesidium chiede che la sanità integrativa diventi un continuum del Ssn.

 

Intervista di Economy Magazine al nostro AD e Direttore Generale Valeria Bucci 

Ampliare le risorse vincolate previste dal decreto sacconi includendo quelle prestazioni, dalle visite agli accertamenti diagnostici, che fanno teoricamente parte dei livelli essenziali di assistenza (lea), ma nella pratica quotidiana spesso non sono fruibili a livello di sistema sanitario nazionale. Ed estendere l’efficacia dei fondi sanitari contrattuali al periodo nel quale i lavoratori ne hanno più bisogno, cioè quando vanno in pensione, come già previsto per i dirigenti. Sono le proposte di Praesidium, società del sistema Federmanager e broker di riferimento del Fondo sanitario integrativo Assidai, specializzata nello studio, nella progettazione e nella gestione dei programmi di welfare aziendali. «L’Italia è il Paese europeo in cui la spesa sanitaria out of pocket è più alta» dice Valeria Bucci, direttore generale di Praesidium. La spesa privata è di 38 miliardi, poco più del 10% viene rimborsata da polizze o da Fondi; quindi 34 miliardi vanno a pesare direttamente sulle famiglie, che utilizzano i propri risparmi.

Con l’approvazione dell’autonomia differenziata si è molto parlato del rischio di creare divari nelle prestazioni sanitarie tra le varie Regioni. Un privato convenzionato legato al welfare aziendale, con gli stessi prezzi su tutto il territorio nazionale, può aiutare?

Assolutamente sì. Va premesso che l’autonomia differenziata è già in atto, visto che è prevista dal 2001 dalla Costituzione; e c’è già una differenza tra Regioni molto ampia, al Sud ci sono livelli di prestazioni e accesso alla sanità che a volte arrivano solo al 50% rispetto a quelli di alcune Regioni come Emilia-Romagna e Toscana. Finché non saranno stabiliti i nuovi Lep (livelli essenziali di prestazioni, ndr) è difficile capire come le Regioni potranno andare a integrarli. Ma oggi quello che bisognerebbe chiedersi è: chi si può davvero curare con il Ssn? La spesa sanitaria out of pocket in Italia infatti è altissima, la più alta in Europa. Invece di interrogarsi sulle attribuzioni regionali, occorre preoccuparsi della possibilità stessa di accesso alle cure da parte delle famiglie.

Cosa dovrebbe fare il governo per migliorare la situazione?

Identificare un nuovo modello. I fondi sanitari contrattuali sono importanti, ma vengono destinati al personale in servizio: quando i lavoratori ne hanno più bisogno, cioè quando vanno in pensione, nella maggioranza dei casi questi fondi smettono di operare – a parte quelli destinati a categorie apicali come quelle dei dirigenti, che includono il nucleo familiare. C’è anche un’insufficiente copertura sull’area ricovero: si garantiscono solo le prestazioni di bassa frequenza, e solo nell’area ricovero: danno solo le prestazioni di bassa frequenza, quelle dei grandi interventi che è vero che sono quelle che costano di più, ma sono un numero molto limitato.

Quale la chiave legislativa su cui intervenire?

Il decreto Sacconi sui fondi sanitari è del 2009 e oggi non è più adeguato. Voleva ampliare i livelli essenziali di assistenza, quindi ha incluso le prestazioni sulle cure odontoiatriche e quelle sulla non autosufficienza – fondamentale perché oggi Italia è uno dei paesi più longevi, ma è al di sotto della media europea sulle condizioni degli anziani: malattie croniche e non autosufficienza pesano molto sul sistema sanitario. Oggi bisogna ampliare le risorse vincolate, e inserire quelle dove il Ssn sta affogando: diagnostica, visite specialistiche, accesso alle cure. Si legge ovunque delle problematiche, dalle diagnosi tardive alla mancanza di accesso ai medicinali per i malati oncologici, perché hanno dei costi altissimi. È in quest’ambito che il Ssn ha più difficoltà: ampliando le risorse vincolate si darebbe maggior respiro a un sistema che nel post pandemia si mostra piuttosto appesantito.

Cosa si dovrebbe cambiare?

Si dovrebbero portare le risorse vincolate a una percentuale molto più alta, includendo quelle prestazioni che teoricamente sono già incluse nei Lea, ma in pratica non sono fruibili a livello di Ssn. Diverse ricerche dimostrano che la spesa out of pocket è concentrata in visite, accertamenti diagnostici e medicinali. Dobbiamo inserire anche quelli, portando le risorse vincolate per esempio al 50%, magari inserendo un sotto-limite sulle spese odontoiatriche e sulla non autosufficienza, e uniformando la normativa sulle varie forme di assistenza.

Come vede la prospettiva della sanità integrativa?

Dovrebbe diventare un continuum del Ssn. Gli operatori privati possono garantire maggiormente le prestazioni a livello nazionale, e integrarle anche con la telemedicina, che può diventare uno strumento di ottimizzazione della spesa e di efficienza organizzativa. Sono tutti sistemi che ci consentirebbero di non arrivare un domani ad avere non dico una situazione come quella americana; però dove tutti possano accedere in egual modo alla salute, alla cura. Altrimenti rischiamo che il nostro welfare state diventi solo di facciata.

Questo tipo di prospettiva è incardinabile negli attuali contratti nazionali?

Oggi il 70-80% dei contratti collettivi ha un fondo sanitario integrativo, come per esempio quelli dei metalmeccanici, del commercio e della moda. Ma questi fondi contrattuali hanno delle risorse economiche piuttosto limitate, coprono solo determinate aree e ne lasciano scoperte altre; inoltre, come visto, il grande problema è che smettono di operare nel momento in cui i lavoratori ne hanno più bisogno, cioè quando vanno in pensione. Poi ci sono anche i contratti integrativi di secondo livello fatti dalle aziende con i lavoratori, che permettono delle coperture integrative; e ancora, fondi regionali che però operano quasi esclusivamente sulle coperture complementari al Ssn. Il problema di fondo rimane lo stesso: il Ssn è veramente accessibile? Ha funzionato benissimo per la pandemia, ma è stato esclusivamente concentrato su quello, tutte le altre prestazioni sono state affidate esclusivamente al privato. Questo al di là della paura di recarsi negli ospedali durante la pandemia, quando tutto si è fermato. Per questo bisogna fare in modo che la normativa dei fondi sanitari integrativi non riguardi più solo le prestazioni extra Lea.

Che tipo di risposte avete ricevuto dalla politica e dalle aziende?

Dalla politica molto poche in realtà, la normativa fiscale è ferma da anni sia sul settore della previdenza che dell’assistenza sanitaria, ci si muove poco e non vedo dei grandi avanzamenti in tal senso. Ma restiamo fiduciosi in un cambio di passo. Quanto alle aziende, credo che generare cultura sia importante: come direttore generale di Praesidium cerco sempre di sensibilizzarle. Dopo la pandemia sono stati sicuramente fatti dei passi avanti in tal senso. Aziende virtuose ce ne sono parecchie, ed è cambiato anche il modo pensare al welfare aziendale. Molte imprese vanno davvero a valutare quali sono le necessità dei lavoratori, per dare più tranquillità; si prendono cura del lavoratore e del suo nucleo familiare, tant’è vero che le coperture assicurative a livello aziendale sono aumentate. Una prassi che si sta diffondendo non solo nelle categorie più alte, quelle di dirigenti e quadri, ora c’è una sensibilità molto forte in tutte le fasce, anche con l’estensione delle coperture sulla non autosufficienza, che però ancora una volta terminano col pensionamento. Per quanto riguarda i dirigenti, poi, c’è un altro problema.

Quale?

Non sempre c’è la conoscenza di quello che, almeno nel nostro comparto, già il contratto collettivo offre. C’è un fondo contrattuale estremamente importante, il Fasi. È uno dei primi fondi ad aver pensato di offrire un’assistenza sanitaria integrativa anche post pensionamento. È un fondo importante che va a coprire quasi il 100% delle prestazioni necessarie, anche grazie all’inserimento nel contratto collettivo dell’iniziativa con Assidai e alla nascita di IWS Spa, che hanno rafforzato l’ombrello delle tutele. Ma quel che purtroppo, vediamo da nostri competitor sono offerte sostitutive, senza che si spieghi con chiarezza la portata delle garanzie offerte né che si renda possibile un confronto di valore.

 

EconomyMagazine – by Riccardo Venturi